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“Non è possibile, per accelerare i tempi, che sia io a pagare in contanti qui da voi?”, gli chiesi.

“Non saprei, non è una prassi prevista, anche perché le nostre sedi non prevedono sportelli per il pubblico. Però se vuole fare un tentativo le lascio l'indirizzo della filiale di Roma, e qualche nominativo che forse può provare a contattare.”

Uscii in fretta e, preso dai miei pensieri (controllavo mentalmente che non mi stessi dimenticando qualcosa: chiavi della macchina, telefonino, indirizzo dell'agenzia e della signorina Kanakis, numero di catalogo del braccialetto scelto) rischiai di non accorgermi di mia moglie che mi salutava, con espressione interrogativa e alquanto preoccupata. “Tutto a posto, dovrei tornare per pranzo”, le dissi distrattamente e senza convinzione.

E in effetti dopo neanche un'ora ero già sulla strada del ritorno.

Non sapevo se ero riuscito ad ottenere quello che volevo. Forse l'avrei saputo il giorno dopo dalla signorina Kanakis. (Forse, perché, conoscendola, avrebbe potuto anche ricevere il regalo facendo finta di niente, o addirittura rifiutarlo). Quello che sapevo per certo era che, solo per mantenere viva la mia speranza, avevo creduto alla promessa non del direttore della filiale, che in quel momento era irreperibile, ma di uno che, a volergli credere, era il coordinatore del servizio spedizioni. Avevo fatto l'ordine tramite telefonino, pagando a lui in contanti ed elargendogli una somma aggiuntiva assai considerevole (quest'ultima senza ricevuta); fidandomi semplicemente della parola di quell'Arturo, che mi aveva garantito che sarebbe stato fatto tutto il possibile. Doveva essere amore, avevo pensato per la seconda volta nella giornata.

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