Читать книгу Sumalee. Storie Di Trakaul онлайн

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«Perché non entriamo qui?», proposi cercando di convincere Josele e Dámaso ad entrare per dare un'occhiata.

«Ci sarà tempo per vedere le cose in modo più approfondito. Per il primo giorno, è meglio n giro più generico. Inoltre, Josele lo conosce già», affermò Dámaso.

«Sei venuto a vederlo?»

«Fermati, bestia», rispose subito Josele. «Non devi farti un'idea sbagliata. I fiori mi potrebbero piacere per scattare foto fantastiche, ma poco altro. Sono venuto perché mi sono messo in contatto con una donna giapponese che era molto bella e ho pensato che portandola qui avrei fatto colpo. E, in effetti, è stato così.» Ci fece l'occhiolino e ci venne da ridere.

La verità è che avevano tutta la ragione del mondo, c'era tempo per vedere tutto, quindi cedetti senza lamentarmi molto.

«Guarda!», gridò Dámaso. «L'autobus sta arrivando, potremmo andare a vedere Little India, il quartiere indiano della città.»

Josele ed io pensammo che fosse una buona idea e trenta minuti più tardi stavamo scendendo dall'autobus in un quartiere completamente diverso. Lì la distribuzione demografica era completamente diversa, con la maggioranza di indiani (o bengalesi, perché la verità è che non ero in grado di distinguere gli uni dagli altri). La prima cosa che attirò la mia attenzione furono le centinaia di indiani seduti per terra in un parco, in piccoli gruppi, a chiacchierare tra loro. Secondo quanto mi raccontarono i miei amici, lo facevano ogni domenica. Era come il loro punto d'incontro per vedersi e raccontarsi cosa era successo durante la settimana. Naturalmente, non si vedeva nemmeno una donna. Solo uomini. Curioso. Tradizione? Maschilismo? Le donne si incontravano altrove? Continuammo a camminare e ci trovammo davanti ad una chiesa, la Foochow Methodist Church come si leggeva su un cartello all'ingresso, che mi sorprese essendo nell'area indiana, dove ci si aspetta di vedere i templi indù. Questo dimostrava l'unicità di questo posto. Vedemmo anche dei ristoranti, questo sì, tipici indiani e, alla fine, arrivammo al Mustafá Center. Era un centro commerciale abbastanza grande aperto 24 ore al giorno. Il marciapiede opposto era fiancheggiato da case a due piani che avevano per lo più ristoranti, gioiellerie e accademie di hindi. C'era anche un tempio chiamato Arya Samaj. Questo sembrava indù, ma non saprei dirlo con certezza. All'ingresso c'erano i manifesti di due uomini: uno barbuto dall'aria bonaria e l'altro con un turbante e un'aureola intorno come se fosse un santo. Ad entrambe le estremità della strada si vedevano sullo sfondo i grattacieli della città, che contrastavano con questa zona di case basse. Tutto era molto diverso da quello che conoscevo.

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