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Con la sabbiolina lasciata dal fango – che tra le dita dei piedi sembrava carta vetrata – Slim si limitò a bere un sorso d’acqua prima di intraprendere la strada del ritorno. Una mite giornata primaverile si stava velocemente trasformando in una nottata d’inverno e solamente un’ora di luce lo separava dal buio completo. Anche se la nebbia non aveva ancora raggiunto ed avvolto il parcheggio con i suoi toni grigiastri – una macchia rossa accanto al muretto svelava ancora la posizione della sua bici –, questo sembrava ora più lontano di quanto non lo fosse stato prima il crinale.

Stava fissando il vuoto all’orizzonte, contando le pecore rannicchiate in una conca ai piedi della collina per distogliere la mente dalle gelide folate di vento, quando ancora una volta scivolò su qualcosa.

Cadde bruscamente sulle mani. Era caduto sullo stesso piede, ma questa volta si era slogato la caviglia e un dolore fulmineo gli percorse l’intera gamba. Si sdraiò supino, allargò lo stivale e si mise a massaggiare la caviglia per qualche minuto. Al togliere il calzino fradicio notò il formarsi di un brutto livido e il contatto diretto con l’aria fredda di febbraio lo fece rabbrividire. Perlomeno il terreno qui era asciutto, così si sedette e si mise a fissare la cima, arrabbiato e sconsolato allo stesso tempo. “Sbagliare è umano”, si ricordò di un proverbio che la sua ex-moglie ripeteva sempre, anche se si era dimenticato come finiva.

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