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Per i Romani, la collina su cui Kakin stava lavorando la terra era a mezzo miglio di distanza ed era uno dei loro primi obiettivi. Da parte sua, Kakin era abituato a calcolare le distanze in maniera diversa, in piedi, passi e giornate di cammino, ma capiva bene che quell'accampamento romano così vicino in linea d'aria rappresentava un estremo pericolo, non solo per la sua libertà, ma per la sua stessa vita. Non avrebbe mai tollerato di diventare schiavo dei Romani, e dover coltivare la sua terra per dover cedere le olive, e il grano, e l'uva, e rimanere solo con qualche frutto, a malapena sufficiente per sopravvivere. Meglio morire con onore che perdere la propria libertà.

Mentre questi pensieri affollavano il suo rozzo cervello, Kakin iniziò a udire uno strano rumore, come un sibilo, la cui intensità aumentava sempre di più, provocando un forte fastidio alle orecchie. Alzò lo sguardo verso il cielo e vide un'enorme palla di fuoco, che stava precipitando dal cielo a una velocità incredibile. Che cos'era? Non aveva mai visto nulla di simile in vita sua. L'oggetto, continuando nella sua inesorabile traiettoria, proiettò la sua ombra sulla figura di Kakin, che, da lì a qualche istante, non avrebbe rivisto mai più la luce del sole. L'impatto dell'oggetto infuocato con il terreno fu devastante. Una nuvola di terra, polvere e detriti rocciosi si sollevò per almeno trecento piedi, mentre l'oggetto, del diametro di circa duecento cubiti, sprofondava nel terreno fino a raggiungere la falda acquifera. La terra tremò con violenza e la scossa fu avvertita per miglia e miglia. Il contatto dell'oggetto incandescente con l'acqua della falda freatica fece risalire dalle viscere della terra un forte getto di vapore acqueo, che fuoriuscì dalla voragine appena formatasi. La massa di terra e detriti che si era sollevata verso l'alto ricadde in parte all'interno della voragine stessa, a ricoprire l'oggetto che ne aveva provocato l'apertura, in parte tutt'intorno per un raggio di almeno un quarto di miglio. Kakin era stato sepolto dai detriti. I Romani che stavano costruendo l'accampamento rimasero sconvolti da ciò che avevano visto. In seguito alla scossa sismica, molti erano caduti a terra e le opere che stavano costruendo erano crollate. I due Consoli, Quinto Fabio e Publio Decio, usciti dalle loro rispettive tende non appena avevano udito quello strano sibilo, erano rimasti allibiti di fronte allo spettacolo avvenuto nell'altra collina. Una nuova arma distruttiva del nemico? Cosa accidenti avevano escogitato i Galli? La prossima palla infuocata avrebbe colpito Aesis? I due Consoli scelsero un manipolo di soldati fidati e si avviarono verso la collina opposta a quella in cui stavano costruendo l'accampamento, per andare a rendersi conto di persona di cosa fosse accaduto.

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