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In quei giorni mi trovavo da diverse settimane a Milano in trasferta per lavoro. Milano e Monza sono vicine: una fortuna che zia Betty fosse morta proprio quel giorno, pensai - per quanto morire forse non possa mai considerarsi una fortuna.
Avrei potuto partecipare al suo funerale, rivedere qualche cugina che ormai, alle nostre età, si rivedono solo per occasioni molto importanti e il più delle volte non allegre, come in questo caso. Avrei potuto simbolicamente rappresentare il dolore di papà e di tutti i suoi figli e nipoti per la scomparsa dell’ultima zia ancora in vita, dell’ultima ormai ex superstite di cinque tra fratelli e sorelle sparpagliatisi per l’Italia, ciascuno dei quali, a parte Betty e Rosy, aveva seguito un destino tutto suo.
Giulia e Romina erano al primo banco della fila di sinistra, in lutto nero di tutto punto con cappellino e veletta.
“Condoglianze”, dissi a ciascuna di esse mentre le baciavo sulle guance.
Sembravano affrante ma non disperate, difficile pensare che non si aspettassero che a quell’età potesse capitare qualcosa del genere, anche se non c’è mai abbastanza tempo per riuscire a prepararsi alla morte di qualcuno.