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“Grazie, Tommaso”, mi rispose Giulia.

“Anche a nome dei miei fratelli”, aggiunsi con Romina.

“Grazie, salutaceli tutti. E anche a casa, tutti quanti”, mi rispose Romina.

Nel mentre, da chissà dove, arrivò anche Pietro e prese posto sulla loro stessa panca. Feci anche a lui le condoglianze, poi andai a sedermi dietro di lui.

Mi sistemai vicino a un’altra signora in lutto, molto anziana, che salutai rispettosamente anche se non sapevo esattamente chi fosse. Forse una parente, la badante: o magari un’amica speciale. Credo che poche persone al mondo soffrissero veramente della perdita di zia Betty.

Sull’altra panca in prima fila riconobbi a fatica, in compagnia di un altro volto dall’aspetto familiare a cui però non riuscii ad associare un nome, mio cugino Claudio. Era lì per conto di tutto il ramo siciliano della famiglia. Il mio posto, pensai, avrebbe dovuto essere di fianco a loro, sulla loro panca mezza vuota, ma non volli muovermi da dietro alle cugine. L’atmosfera era impregnata di lutto e di dolore, e in quel momento spostarsi da una parte all’altra della chiesa mi sarebbe sembrato irriverente e un po’ sacrilego, quasi come guardare l’orologio o semplicemente pensare ad altro.

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