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Io abitavo proprio di fronte alla scuola. Sapevo quando i ragazzi si incontravano là sotto per le loro uscite, e per andare dove; e così a quell'ora guardavo fuori dalla finestra, per vedere dall'alto chi c'era, quello che facevano, come si comportavano. In genere si ciondolavano là davanti per quindici venti minuti, a volte per aspettare qualche ritardatario, a volte senza motivo, e poi si dirigevano come un gregge nella direzione attesa. Erano piccoli e buffi, visti da lassù.

Le prime volte osservavo queste scene con straziante dispiacere; ma poi sempre più con curiosità. Alle volte aprivo anche i vetri, per cercare di captare qualche parola o qualche discorso, cosa che però mi riusciva solo con qualche persona.

Una volta uscii anche di casa proprio a quell'ora, attraversando il gregge in attesa e fingendo che la cosa fosse casuale. Qualcuno mi salutò. “Ciao, Stefan. Oggi anche tu sei dei nostri?” Ma a me non sembrò propriamente un invito. “Passavo di qui solo per caso”, risposi, e tirai avanti.

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