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Presto capii che mi ero sbagliato. Qualche giorno dopo la sentii prendere accordi per vedersi al solito posto e alla solita ora.
“Anche questo sabato vi vedete nel pomeriggio? Andate da qualche parte?”, le chiesi io più tardi con indifferenza, per non far vedere che ci tenevo troppo. Ma lei, mentendo spudoratamente:
“Non so, non mi risulta. Ancora non ho saputo niente. Magari ti faccio sapere.”
E così la volta dopo osservai anche lei dalla finestra, puntino dall'alto, pecorella del gregge, e mi ritrovai sdraiato sul mio letto a piangere più del solito,
Poi un giorno mi accorsi di Augusto. Augusto era un mio compagno di classe, alto e grosso, ma non muscoloso; eppure uno che passava inosservato. Alle lezioni, comprese quelle di religione, era sempre presente, ma non sembrava mai parteciparvi veramente. La sua testa sembrava altrove, chissà dove. Se un giorno avessero messo un suo manichino sulla sua sedia al posto suo, forse io stesso non mi sarei accorto della differenza.
Constatando ciò diventai persino più indulgente coi miei compagni: forse io facevo loro lo stesso effetto che faceva Augusto a me, l'effetto del mantello dell'invisibilità.