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Le primissime canzoni del nero liberato che utilizzano il double talk per esprimere la condizione sociale in cui viveva, senza timore di venire maltrattato per ciò che cantava, aveva lo stile delle vecchie ballate medioevali anglosassoni, ma con un sapore del tutto Africano. Tali canzoni ci sono arrivate già epurate del loro significato occulto, ma è possibile ancora trovarne qua e là alcune tracce: parlo di UNCLE RABBIT, oppure THE GREY GOOSE, in cui il bestiario umano veniva ”nascosto” in quello animale; ma mi riferisco soprattutto alle bellissime JOHN HENRY, BOLLWEAVILLE, STEWBALL e altre dello stesso periodo.

Abbandonato il banjo, divenuto ormai trofeo del Country, l’ex schiavo rivolge il proprio dolore e il proprio senso di solitudine alla chitarra e all’ armonica, strumenti semplici, economici e in grado di ricalcare l’abitudine Africana del botta e risposta. Ben presto quindi la ”ballata” lascia il posto ad un modo del tutto nuovo di interpretare la musica del silenzio, della disgregazione e dell’alienazione sociale. Un semplicissimo giro di DO, che poteva eseguire anche un bambino, accompagnava discretamente la vera arma della comunicazione tra ex schiavi: la voce e il suo delirio.

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