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“Che hai, che ti ha preso?”, gli chiese quello.

“No, non posso continuare a giocare. Mi deve far sostituire, assolutamente. È l'unica cosa da fare.”

Poi, fingendo di zoppicare e sorretto da quello che evidentemente era il medico della squadra, si portò oltre la linea laterale del campo, a ridosso della panchina. Nonostante il disappunto dell'allenatore, con gran sollievo di Riccardo entrò poco dopo il suo sostituto; e Riccardo (Raul per tutto il resto del mondo), dopo qualche ulteriore controllo da parte del medico, prese posto in panchina.

Era divertente guardare la partita così da vicino, anche se lo spettacolo era molto calato per l'assenza di quello che fin lì era stato decisamente il migliore in campo. Ma chi era poi costui, pensò Riccardo: sono davvero io? Si sforzò di guardare verso la curva, da dove gli risultava che un gruppetto di tifosi tra cui egli stesso Riccardo stessero seguendo l'incontro. Sperava di riuscire a vedersi laggiù, ma la distanza era troppa.

Cosa avrebbe dovuto fare? Adeguarsi a questa improvvisa ed assurda svolta che aveva preso il corso della sua vita; oppure contrastarla, cercando di riportare la sua esistenza sui binari della normalità? All'inizio, decidendo di non decidere, si rispose che per il momento preferiva godersi la partita, poi ci avrebbe pensato.

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