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“Vi prego, adesso no, lasciatemi andare a cambiare. È di qua il mio spogliatoio, vero?”

“Sì. Ma come ti senti? La caviglia ti fa male?”

“Sì, molto. Ma ora lasciatemi in pace.”

Aprì la porta di quello che gli sembrava essere uno degli spogliatoi. Non vedendo nessuno stava per richiuderla, ma si sentì chiamare:

“Riccardo. Sono qui.”

Rimase a bocca aperta. Di fronte a lui c’era un altro se stesso che indossava un cappotto e un paio di pantaloni che ben conosceva: gli mancava solo la sua sciarpetta biancorossa.

“Ma è incredibile: sei uguale spiccicato a me!”

Rimasero un po’ a fissarsi, increduli; poi l’altro, che da adesso in poi per comodità chiameremo Raul, lo portò con sé davanti ad uno specchio.

“Qualche differenza c’è. Io ero un po’ più alto, con una massa muscolare più sviluppata e senza questo brutto neo sotto la mascella. Insomma, ero un pochino più bello, ora sono un po’ più bruttino.”

“Già. In compenso io ho una caviglia che prima stava bene e che adesso mi fa male.”

“Senti: non so che cosa tu abbia combinato, ma sembra che almeno mi siano rimasti l’accento portoghese e l’abilità nel giocare a pallone. Che ne diresti se ci scambiassimo i vestiti, prima di combinare qualche altro pasticcio irreparabile?”

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