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Non era stato facile, tuttavia ora intravedeva la meta: la Lacrima era con lui, nel suo borsello, e gli inseguitori erano stati seminati. Per la prima volta dopo diversi giorni, si sentiva più rilassato… si addormentò.

Sognò la madre, i suoi lunghi e lisci capelli corvini che ricadevano sul kimono. Ella lo ammoniva: “Riatu, stai attento alle pozze d'acqua! Lì, potrebbero nascondersi i malvagi spiriti della palude”.

Ricordava bene le leggende sui kappa: per metà uomini e per metà bestie, catturavano e uccidevano affogandoli gli ignari pellegrini che, malauguratamente, si addormentavano nei pressi delle acque della Palude Gialla. Ebbe la cognizione di non essere più nell'Impero Sajamura: “Madre sta tranquilla, qui a occidente i kappa non esistono.” Nonostante quella fumosa consapevolezza, si ritrovò agli argini di un acquitrino che, per via delle alghe e dello zolfo disciolto, aveva un colore giallastro e sognò una di quelle creature pronta ad avvinghiarlo...

Si svegliò di soprassalto proprio mentre le cornacchie spiccavano freneticamente il volo e appena in tempo, per vedersi ghermire la gamba da un enorme tentacolo. Emise un urlo soffocato e tentò di alzarsi, ma la strana cosa lo trascinò con uno strattone nella melma verso una zona della palude più profonda. Non vide più nulla: l'acqua putrida lo sommergeva completamente. Raccolse le energie, stabilì il contatto elementale con il fondale, focalizzò il potere attraverso il bastone e mise in atto l'unico gesto che poteva fare per salvarsi la vita: usò la magia.

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