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L’orologio era composto da un rettangolo di legno, intagliato per sembrare una baita di montagna, con uno sporgente tetto a punta e un foro in basso, da cui mancava il pendolo. Il quadrante, con numeri romani in metallo leggermente rovinati, era contornato da incisioni e ghirigori: animali, alberi, simboli che forse rappresentavano il sole e la luna, oppure le stagioni. In un semicerchio sotto al quadrante, c’erano delle linee che sembravano raffigurare una luna inclinata verso l’alto, o forse un ferro di cavallo incompiuto. C’erano anche alcuni graffi indecifrabili. L’intero orologio era stato rivestito di una vernice spessa, che avrebbe dovuto essere levigata e lisciata per ultimarne il design.

Slim scosse la testa perplesso. Non si era mai imbattuto in un orologio fatto a mano prima d’ora. Se qualcuno aveva perso del tempo per creare qualcosa di così complesso, perché metterlo in una busta di plastica e sotterrarlo nella brughiera?

Paradossalmente, anche senza il pendolo, stava ancora ticchettando, anche se le lancette erano un paio d’ore avanti — stava segnando le undici — e il fondo era stato danneggiato dall’acqua nel punto in cui la busta si era rotta. Slim provò a rimuovere il retro per dare un’occhiata all’interno, ma era stato saldamente avvitato e, dal momento che non aveva i propri attrezzi con sé, non voleva disturbare la Signora Greyson di nuovo. Il legno, però emanava un forte odore di muschio di torba bruciato, così come di stantio. Non era affatto da escludere che l’orologio contasse più dei suoi quarantasei anni.

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