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Le rispose una voce di donna. “Pronto?”
“Buongiorno. Mi scusi, è la casa di Piero Rossini?”
“Sì, sono la sua mamma. Ma lui è di sopra a studiare, se vuole glielo vado a chiamare.”
“No, no. Non c’è bisogno. Anche perché lui non è di sopra a studiare. Anzi: volevo giusto dirle questo: che suo figlio adesso è qui a casa mia. Sono la nonna di un suo amichetto, Giulio. Adesso loro due sono qui a giocare. Potrebbero passare il pomeriggio insieme, e magari Piero potrebbe anche fermarsi qui a cena, se non le dispiace.”
“A dire il vero mi farebbe anche comodo: ho molto da fare, ho da lavorare tutto il pomeriggio. Così non dovrei mettermi ai fornelli. Caso mai la richiamo quando ho finito, va bene?”
“Va bene. A questo numero. Allora a più tardi, tanto io non esco.”
Terminata la telefonata con Giulio, Piero andò in giardino a giocare coi gatti. Si ricordava che ce n’era più d’uno. Voleva toccarli ed accarezzarli, ma quelli scappavano e si nascondevano, un po’ come fanno tutti i gatti coi bambini. Piero trascorse anche con loro un tempo interminabile, fino a riuscire prima a convincere il più piccolo di loro a lasciarsi accarezzare, e poi finché non fu egli stesso ad annoiarsi di accarezzarlo.