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IL PESO DI UN SEGRETO
La mia vecchia, sdraiata supina nel suo letto, agitava il vecchio campanello sul comodino quasi per amplificare il beep intermittente di una sveglia per lei troppo moderna.
“Ho sentito, ho sentito. Sto arrivando, mamma”.
“È l'ora delle mie medicine. Me le hai preparate le medicine?”
“Ma sì, mamma, sono lì pronte al solito posto dentro al piattino. E anche il tuo bicchiere. Basta che allunghi la mano.”
“Sono le mie, le medicine, vero?”
“Ma certo: e di chi vuoi che siano? C'è forse qualcun altro in questa casa oltre a noi due?”
Quasi per caso i suoi occhi in quel momento erano aperti: ormai li teneva chiusi la maggior parte del suo tempo solo perché, diceva, le costava meno fatica. Ma anche a vederli aperti, così grigi e sempre più persi e sbiaditi, poco cambiava: il loro aspetto confermava chiaramente quanto il dottore ci aveva detto l'ultima volta, e cioè che la sua vista era ormai ridotta al lumicino.
Povera mamma. Vederla in quelle condizioni mi faceva pensare che la vita si fosse presa gioco di lei.