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Restava il fatto che sicuramente il teatro aveva qualche costume di scena adatto. Un abito talare, una bella parrucca e magari una barba finta; e mia madre, che di preti veri non ne conosceva e che ormai ci vedeva male e sfuocato, ci poteva tranquillamente cascare, se fossi stata brava a recitare la parte.
Sì, alla fine avevo deciso: avrei fatto così.
Cambiai la suoneria della sveglia del cellulare in modo che risultasse uguale al campanello di casa, e mi recai al teatro, dove ebbi la fortuna di incontrare Filippo, con cui però non entrai nel dettaglio delle mie intenzioni: gli dissi soltanto che il costume mi serviva per uno scherzo “da prete”. Egli mi aiutò nella scelta di quello più adatto e mi diede una breve infarinatura e qualche dritta sulla confessione e sul mestiere del prete, anche aiutandosi con internet.
Sulla via del ritorno feci in tempo ad imparare a memoria la formula dell'assoluzione e altre formule latine il cui significato mi era poco chiaro, ma che mi sembrarono di sicuro effetto. Rientrata a casa lasciai nell'ingresso tutto l'occorrente per il travestimento, insieme al mio cellulare, ma riferii invece a mia madre di essere stata nelle chiese vicine per cercare un confessore, che sarebbe venuto di lì a poco.