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Nel suo complesso e variegato rapporto col comico, la commedia si pone come il genere che, più di ogni altro, nell’evidenza della forma drammatica, convoglia l’esperienza del comico nel quadro della finzione, nell’artificio di una mimesi scenica della vita reale, attraverso una «finta» rappresentazione / ripetizione della realtà, dell’azione, dell’evidenza dei corpi e delle voci: in un tempo illusorio che è nello stesso tempo vero, che si dispone entro il tempo reale, scandendolo con la ripetizione di atti e parole che emergono da un universo fittizio, da un ambito di invenzione culturale (personaggi, mondi del passato, vite che vengono da altrove ma che proferiscono parole presenti, ecc.). Gli umori molteplici delle disposizioni comiche, la gamma varia delle possibilità e degli usi del comico e delle sue modalità, inserendosi nel quadro della mimesi, che (anche se non c’è un’immediata traduzione in spettacolo) allude ad un apparire scenico dell’esistenza, all’evidenza di una illusion comique, si fissano come forma culturale, convergono nella fruizione controllata di una realtà apparente che non è realtà, che della realtà neutralizza gli aspetti pericolosi e distruttivi. Ci si trova davanti a forme che, nel chiamare in causa l’esistenza quotidiana, non coincidono con essa: esse vengono a rendere controllabili, disponendole in spazi riflessi, in modelli culturali, in occasioni piacevoli, le emergenze del caso e dell’imprevedibilità, che sono invece incontrollabili nell’esistenza reale.

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