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La proiezione della quotidianità nella finzione dà luogo, secondo i diversi orizzonti culturali e secondo le diverse disposizioni psichiche, ad un’indefinita possibilità di intrecci tra identificazione e sua negazione: lo evidenzia molto chiaramente la formula suggerita da Francesco Orlando, che indica il vario sovrapporsi, di fronte alla sostanza psichica del comico, tra non sono io / sono io e viceversa. Più che ad una varia azione del «ritorno del represso», questa formula può essere riferita ad un continuo oscillare tra riconoscimento di dati reali e loro neutralizzazione nella finzione. Si tratterebbe di tradurla in così è la vita / così non è la vita: dove vengono a convergere e contraddirsi sguardo fuori di sé e sguardo dentro di sé, sospensione della soggettività e suo trionfo. In un agire simmetrico di minaccia e attrazione del diverso, di apparente trionfo della disgregazione, del «vizio», del fallimento, e di loro rassicurante esorcizzazione.

Nell’espandersi della comicità come scena, articolata in vari e contrastanti livelli, tutto il pullulante orizzonte dell’esistere, della sua stessa normalità, banalità, casualità, eterogeneità, tutto l’accadere di fatti triti e, se si vuole, banali è nello stesso tempo «altro» e familiare: ma da questo suo essere «altro» scaturisce una particolare tensione vitale, un’esaltata ed esaltante effervescenza. La vitalità della commedia è scatenata proprio da un distanziamento che è nello stesso tempo un avvicinamento, con la promessa del proiettarsi del caos imprevedibile dell’esistere in una possibile integrazione dell’esperienza, in un esito «felice», che peraltro non equivale necessariamente ad un lieto fine. L’esito felice, in fondo, quale che sia la sua conseguenza rispetto alle forze in gioco, afferma e realizza nella «chiusura» della forma culturale quel finale acquisto di un senso definitivo che non è possibile nell’esperienza reale: il concludere del-la commedia, tra integrazioni ed espulsioni, fa da specchio all’inevitabile non concludere della vita.

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