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Beh, questo finché tu eri qui con noi, nel mondo dei vivi. Poi ci hai lasciato nel modo improvviso ed inaspettato che purtroppo sappiamo, poverino - anzi, poverini noi. Ho pensato persino che morire fosse stato il tuo ultimo ed estremo tentativo per convincermi, per convertirmi; di salvarmi, di redimermi. E invece no, non ci sei riuscito neanche in quell’occasione. Al tuo funerale ho pianto non uno spirito che ci aveva lasciato, ma un corpo che aveva perso la sua vitalità; un ammasso di cellule in disgregazione che con la vita aveva perso anche la sua capacità di pensare, di parlare, di emozionarsi; e di emozionare anche me.
Da allora era trascorso molto tempo, ed io alle tue misere spoglie ormai in decomposizione già non ci pensavo più da un pezzo. Anche il ricordo di te si stava affievolendo nella mia mente, con la vita che giorno dopo giorno scorreva in me incessantemente, proponendomi di volta in volta situazioni sempre nuove e interessanti.
Quella notte indimenticabile ricordo che feci uno strano sogno. Sognai che mentre dormivo mi squillava il cellulare. Doveva essere di certo un sogno, perché una cosa del genere a notte fonda non mi era mai successa in tutta la mia vita. Ma era un sogno strano: uno di quelli che sembrano veri ma la cui stranezza, mentre li vivi, ti sembra la cosa più naturale del mondo.