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Svegliato dalla suoneria, semplicemente mi alzo e prendo in mano il cellulare. Prima di rispondere leggo il nome del chiamante: sei tu, Alessandro. Ma anche questo non mi è parso strano.
“Ciao Ale”, ti dico.
“Ciao Pino. Senti. Ascoltami bene: devi fare molta attenzione alla tua moto. Stanno venendo per cercare di portartela via”.
“La mia moto? Portarmela via?”. Istintivamente riattacco, e facendomi luce col cellulare mi sposto in fretta nel salone - che affaccia sul cortile - e mi avvicino alla finestra. Da lì, due piani più sotto, di solito le moto di tutti noi del condominio si possono vedere distintamente.
Piove, il vento inquieto agita con forza i rami degli alberi e solo il debole chiarore di una falce di luna illumina quell’angolo del cortile. C’erano cinque o sei moto e alcune bici, ma il mio scooter rosso non c’era. La cosa mi sembra strana, anche se non mi stupisce più di tanto. Me l’hanno già portato via? Ma chi? Chissà perché proprio non mi sono ricordato che ormai da diversi anni la moto non ce l’ho più: dopo l’incidente l’ho venduta e mi è rimasta solo la bici.