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In ogni caso un senso di agitazione lo assalì durante tutto il tragitto fino all’Accademia, anche se cercò di mascherare il disagio mantenendo il suo solito contegno. Desiderava non insospettire gli altri commilitoni e voleva evitare qualunque tipo di domanda. Inoltre non era il tipo di uomo che si lasciava andare a facili confidenze, nemmeno con i suoi amici più stretti e fidati. Cenarono alla mensa degli ufficiali e Nikita, come al solito, non fu parco di scherzi e battute.

Qualcuno aveva portato la chitarra e tutti insieme invitarono Aleksej a suonare un brano italiano, di quelli che la mamma gli aveva insegnato quand’era piccolo. «Sono un italiano… sono un italiano» gridavano a squarciagola e il Maggiore, pur di calmare quella massa indisciplinata, prese la chitarra tra le mani e cominciò a strimpellare il motivetto che tutti chiedevano a gran voce. Dopo aver ascoltato le parole del Generale Govorov non era dell’umore adatto, ma volle che la serata finisse nel modo previsto e non si tirò indietro.

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