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Il suo modo di pensare si era rivelato vincente, ed io quella sera stessa, per gratitudine e per premiarlo, al momento del brindisi gli avevo anche proposto di diventare mio socio.

Eravamo da poco usciti dal ristorante, con in corpo l'euforia di quasi una bottiglia di spumante in due. Sarei tornato a piedi, il ristorante l'avevo scelto vicino a casa: lo conoscevo e si mangiava bene. Accompagnai il Laurenzi alla macchina.

“Mi raccomando, sii prudente, Ci vediamo domani”.

I fumi e l'euforia dell'alcool e del successo avevano un po' offuscato la mia coscienza, che aveva fatto sentire con forza la sua voce fino al momento della firma del contratto ed all'incasso dell'assegno. Mio padre non avrebbe approvato quello che avevo fatto. “Quando prepari un vestito, mettiti nei panni di chi lo indosserà”, era solito dire. E mio nonno: “l'onestà prima di tutto”, anche se non si può dire che avessi tenuto un comportamento disonesto: perché “disonesto è solo ciò che va contro la legge”, sosteneva a ragione l'avvocato Laurenzi. Ma quelli di mio padre erano altri tempi: tempi in cui si andava all'inferno per le brutte azioni e dopo morti, non già da vivi per mancanza di denaro e di lavoro.

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